Circondata
dal silenzio della campagna., la suggestiva chiesetta di
Nostra.
Signora del Buon Cammino domina da un'altura lo stagno di
Simbirizzi,
trasformato di recente in lago artificiale .
L'edificio
campestre costituisce un tipico esempio di architettura
«spontanea
o senza architetto» (per usare un'espressione di Vico Mossa ) ,
di
un'architettura nata cioè dall'improvvisazione di maestranze
locali.
Esso denuncia subito la mancanza di velleità artistiche dalla elementare
apparecchiatura
muraria, costituita da pietre incoerenti e
malta
eccetto che negli spigoli, rinforzati da robusti conci di tufo e, alla
base,
da rocchi di colonna tardo-romani di spoglio. Presenta una
semplice
facciata a capanna, coronata da un campanile a vela dall'unica
luce
ogivale e preceduta da un piccolo loggiato coperto a capriate,
le
cui arcate laterali sono state chiuse in questo secolo con blocchetti
di
cemento. Questa sorta di protiro — che caratterizza la maggior parte
delle
chiesette agresti, come il S. Andrea di Quartu ed il S. Basilio
ed
il S. Gregorio di Maracalagonis, situati nelle omonime località in
agro
di Sinnai — è nato, forse alla fine del 1500, certamente dalla necessità
d'offrire
un riparo ai pellegrini che si recavano in chiesa in occasione
delle
frequentatissime e colorate sagre annuali.
L'interno
della chiesa è costituito da una sola navata dalle
proporzioni
allungate, conclusa a sud-est da un'ampia e tozza abside
semicircolare
voltata a semicatino e circoscritta da un arco a pieno
centro
impostato su mensole a listello. L'abside, che accoglie il vecchio
altare
in pietra, è attualmente nascosta da un popolaresco polittico,
forse
settecentesco, sovrastante il moderno altare in granito; il suo corpo
esterno,
dalla copertura quasi piana, sporge invece negli ambienti
addossati
in questo secolo al prospetto posteriore.
I
moduli spaziali e stilistici dell'edificio, di derivazione tardoromanica.
propongono
un immediato confronto con il nostro S. Benedetto,
attribuibile,
su considerazioni stilistiche, al XIV secolo, successivamente al 1325.
Le
due chiese, infatti,hanno più o meno le stesse dimensioni
La stessa apparecchiatura muraria, uguali
absidi; la somiglianza
è
così stretta da giustificare l'ipotesi che esse siano non solo
contemporanee,
ma addirittura opera degli stessi muratori locali.
La
datazione proposta non contrasta con lo stile del tetto di Simbirizzi,
costituito
da legname sorretto da due arconi ogivali a diaframma,
Lato destro
impostati
su mensole pensili e controbilanciati da robusti contrafforti
esterni;
l'uso di questo genere di copertura, tardo-gotico-catalana,
fu
probabilmente adottato dagli aragonesi sin dal 1324-26 nella chiesa
cagliaritana
di Bonaria. Più tarda, verosimilmente tardo-cinquecentesca
come
il protiro, è la porta rettangolare che si apre al centro
della
facciata; i suoi stipiti, l'architrave e le mensole a cartiglio che lo
sorreggono
sono realizzati in bei conci in tufo, decorati, da rosoni e rosette,
dal
gusto vagamente bizantineggiante e proto-romanico, scolpiti
con
inaspettata, elegante perizia. La decorazione, che spicca
delicata
nel contesto campagnolo, costituisce un'ennesima dimostrazione
della
bravura dei nostri gloriosi «picapedras» e una prova del
tradizionale,
devoto amore dei quartesi per la chiesetta dedicata alla
Vergine
protettrice dei viandanti. Per la porta, non ho trovato esempi
perfettamente
uguali cui riferirmi; nell'insieme, comunque, essa è simile
a
quella meno raffinata e forse più recente del già citato S. Basilio
Le
mensole che sorreggono l'architrave derivano, invece, da quelle
realizzate
alla fine del XVI secolo in due porte presenti nei bracci classicheggianti
del
chiostro di S. Domenico e in un'altra porta ancora esistente
nei
ruderi del convento cagliaritano delle Clarisse, situato presso
la
chiesa di S. Chiara. Vicine nel gusto alle mensole quartesi, benché
Loggiato Posteriore
più
tarde, sono quelle della porta del S. Benedetto a Cagliari(1653).
Ritengo
dunque che la Nostra Signora del Buon Cammino sia stata
costruita,
come il nostro S. Benedetto, dopo il 1325 e comunque entro
il
XIV secolo e, quindi, restaurata nella porta e modificata con Raggiunta
del
loggiato tra la fine del '500 ed i primi del '600. Di altri restauri
effettuati
nel 1661 riferiscono inoltre i registri della Causa Pia»;
dal
materiale edilizio acquistato per la chiesa, si può dedurre che, in
quell'anno,
si rifece il tetto e si costruirono delle strutture in «ladrillos»
(mattoni di
fango).Queste
ultime sono forse quelle relative ad un ambiente
addossato
al prospetto laterale destro, realizzato appunto in «ladiri»
e
stilisticamente ascrivibile al periodo indicato.
Data
la presenza nella muratura ed in loco di elementi di spoglio tardo-romani,
è
inoltre verosimile che l'edificio insista sulle rovine di un impianto
preesistente.
Nella
chiesetta si festeggia «S. Maria de Simbirizzi» il 15 di ottobre.
La
festa, curata dal gremio dei bottai, venne resa celebre (come riferisce, nel
1761
Porta principale e i particolari delle decorazioni
(documento
n. 7, punti 21-22), Mons. Natta), da Padre Francesco Hortolano,
illustre
membro della Compagnia di Gesù.
Secondo
la storia della sua vita — contenuta nel libro intitolato «Firmamento
religioso
d'astri luminosi», scritta da Padre Juan Eusebio
Nixemberg
della stessa compagnia — il gesuita era molto devoto alla
Vergine
del Buon Cammino poiché egli era nato, nel 1544, proprio nel
giorno
in cui i quartesi celebravano quest'ultima a Simbilis.
Il
vescovo esortava perciò gli obrieri e tutti i devoti perché provvedessero,
come avevano sempre fatto,
-al
lustro e alla conservazione di questa chiesa rurale —.
Il
prelato disponeva, inoltre, che — a questa
poiché la prima non ne ha bisogno e la seconda ne
necessita —.
Degli
arredi provenienti dal S. Elia si conservano ancora alcuni
scomparti
del cinquecentesco retablo di S. Elia ed il piccolo simulacro
ligneo
del Santo profeta.
A
Nostra Signora del Buon Cammino appartengono, inoltre, le
statuine
della Vergine titolare e di S. Anastasia, che presentano
scolpiti
solo il viso e le estremità. La resa ingenua e impacciata del
loro
intaglio rivela, più che arcaicità, la mano maldestra di artigiano locale del
'700,
che
traduce in chiave popolaresca la tradizione spagnola delle statue «da vestire».
note bibliografiche: Quartu S. Elena Arte religiosa dal medioevo al Novecento
di Ida Farci
Capriate loggiato anteriore
Particolare del dipinto centrale in basso del polittico raffigurante una flotta di velieri
Particolare delle capriate interne
particolare del pulpito nella fiancata sinistra della navata
Polittico sopra l'altare
particolare dell'abiside
Prospetto frontale
Lato sinistro