La chiesa di S. Forzorio,
presso lo stagno omonimo, è inserita in una
fattoria che si trova sulla destra della strada comunale campestre,
sita in
località «Pizz'e Serra», che collega Quartu a S. Isidoro, in agro di Quartucciu.
La località, ben
conosciuta da pastori e contadini col nome di «Santu Frazzori», è circoscritta dai seguenti siti:
«Sa Funtanedda»,
«Su Fraigu», «Fra Pa
iteri» e «Sa Serra Perdosa».Il più antico
documento a me noto che attesti l'esistenza della chiesa, è la relazione sulla
visita pastorale del 1599, dove viene descritta in stato di quasi abbandono.
Questa
deplorevole incuria indusse mons. Lasso
Sedeno a nominare obrieri i quartesi Antioco Milia ed Antioco Piludu
perché la restaurassero.
Le spese per la manutenzione venivano sostenute soprattutto grazie a donazioni
da parte di fedeli che la ricordavano nelle loro ultime volontà, come risulta,
per esempio, per il
1633. 1697, 1721,
1725. L'ultima donazione citata le fu certamente molto utile perché, in quel
periodo, come riferisce un documento del 1722-26, versava in completa rovina.
Nel 1761, quando la visitò mons. Natta, il suo stato era certo decente visto
che il Vescovo si limitò a scrivere tra i suoi decreti: —Si metterà ai sicuro
l'atto, o testamento del legato di quattro libbre annuali, che servono per la
festa di S. Forzorio Martire (forse S.Lussano Martire, che corrispondono gli
eredi del defunto Lucifero Angioni di Quartu: e incarichiamo i devoti che fanno
questa festa e il priore della parrocchia, che verifìchino se la quarra di
terra situata Intorno alla chiesa, oggi proprietà di Maria Francesco Pillai,
fosse in alcun tempo della chiesa: dandocene conto per raccomandarlo al priore generale
delle chiese, che faccia le sue istanze in Giudizio —.Nel 1777 aveva
quattro libbre di pensione annuale ed era l'unica chiesa quartese su cui ci
fosse qualcuno (il documento non ne riferisce il nome) che vantasse diritto di
patronato. Nel 1793
venne profanata dai soldati francesi sbarcati al «Margine Rosso» per muovere
alla conquista di Cagliari: il simulacro di S. Forzorio, cui vennero imposti il
berreto frigio e la coccarda tricolore, simboli della rivoluzione, venne apostrofato
«S. Farsair».(san buffone) Nella relazione sulla visita pastorale a Quartu del
1823 e nel dizionario di V. Angius, scritto nel 1847, è citata tra le chiese
rurali appartenenti al nostro Comune.Il S. Forzorio,
non più officiato dai primi decenni di questo secolo, subì dunque, nel corso
del tempo, numerosi interventi di restauro, tra i quali il più profondo fu
certo quello attuato tra il 1722-26 ed il 1761, quando venne quasi
completamente ricostruito.Poiché però
tutti questi lavori tendevano, come rivela l'analisi strutturale e stilistica,
a rifare ciò che era crollato più che a trasformare, la chiesa conserva ancora
più o meno l'immagine del suo primo impianto, che è quella di un modesto
edificio tardo-romanico.La facciata, la
parte bassa del prospetto posteriore, gli spigoli e parte dei prospetti
laterali sono realizzati in bei conci di arenaria e grossi blocchi di calcare, probabilmente
di spoglio, secondo una prassi costruttiva propria ad
alcune chiese romaniche
vittorine come il S. Saturno di Cagliari (restaurata dai monaci marsigliesi tra
il 1089 ed il 1119) ed il più tardo S. Platano (1135-1141).Queste parti di
muratura evidentemente originarie, sono legate fra loro da tratti in pietrame e
malta certo realizzati in sostituzione di muri crollati. La facciata, dal piccolo
campanile a vela con una sola luce dall'arco a tutto sesto, ha un terminale
simile a quello del già citato S. Platano; in essa si apre la porta
rettangolare i cui stipiti, l'architrave e le mensole su cui poggia sono
monoliti recuperati, forse, da qualche costruzione romana di più notevoli
proporzioni, come il grosso monolite ed il frammento di colonna scavato da un
lato (probabilmente. un tempo, usato come acquasantiera) che giacciono
inutilizzati presso l'edificio.Sulla mensola
che a sinistra regge l'architrave della porta, è scolpito uno stemma bipartito
troppo rovinato per poter essere letto. La luce — che, priva di arco di
scarico, ricorda l'ingresso del braccio sinistro del S. Elia a Nuxis — è
sovrastata da una rudimentale monofora quadrata simile a quella del S. Giovanni
di Assemini e, quindi, come questa presumibilmente manomessa.Nel prospetto
posteriore sporge il corpo cilindrico dell'abside realizzato in pietrame e
malta come la parte di muratura che lo sovrasta, a cui è perciò contemporanea;
che l'abside sia successiva al primo impianto, si deduce, inoltre, dal fatto
che non vi è concatenazione muraria tra i suoi ed i muri terminali
dell'edificio. È molto probabile però che gravi sulle fondazioni dell'abside
originaria riproducendone, più o meno, l'architettura: è infatti simile ad
esempi tardo-romanici tra cui l'abside del S. Michele di Siddi (1280-1300). La
sovrasta una monofora rettangolare che assume internamente la forma di una
piccola e irregolare croce greca, realizzata forse quando nel '700 si riparò il
muro. Non è infondato ritenere che anche la finestrella ripeta i modi della preesistente,
poiché ricorda vagamente la piccola luce a croce greca che illumina l'abside
della S. Maria di Cossoine e quella che si apre nel prospetto posteriore della S.
Maria di Tratalias (1213). La caratteristica maggiore del piccolo edifìcio
è
l'estrema semplicità: l'unica sua decorazione è la cornice di conci che sporge
regolarmente dai muri laterali, come si ha nel S. Elia di Nuxis, nella S. Maria
di Cossoine (sec. XI), nell'oratorio delle anime a Massama e nell'abside del nostro
S. Pietro di Ponte.Il listello
litico s'interrompe, circa a metà, per comprendere due gocciolatoi scanalati
simili a quelli presenti nella S. Maria di Tratalias. Alla luce di questi
confronti stilistici, è probabile che sia la cornice che le gargarole
provengano dal primo impianto.Internamente la
chiesetta è costituita da una sola navatella lunga e stretta, chiusa ad oriente
dalla absidiola semicircolare circoscritta da un arco a tutto sesto. La
copertura è a botte estradossata, scandita da un arco doubleau che scarica su
due mensole aggettanti di cui, la sinistra, molto consunta; l'altra a destra,
attribuibile al Settecento, è invece ornata da modanature scanalate . Questo
genere di copertura fu introdotto nell'isola dai Vittorini nel 1089 ed ebbe una
lunga eco che si protrasse sino al’600-700.L'entità dei
crolli dei muri portanti, rivelata dalle riprese murarie, vieta d'ipotizzare
che la volta sia l'originaria, della quale potrebbe al massimo esserne rimasto
qualche tratto riutilizzato nei rifacimenti settecenteschi. Per verificare
quest'ultima ipotesi bisognerebbe scrostare lo spesso intonaco e quindi
analizzare la muratura. Per il momento, però, si può dire soltanto che la
chiesa conserva con certezza del primo impianto soltanto parte dei muri
perimetrali, stilisticamente romanici e delimitanti un'architettura la cui pianta
diventa «di moda», come sostiene il Delogu, in edifici religiosi minori eretti
da maestranze locali alla fine del '200.Il S. Forzorio è
quindi verosimilmente contemporaneo al nostro S. Pietro di Ponte (1280-1300),
al S. Pietro di Villa S. Pietro (1260-1270) e alla S. Barbara di Sassari
(1270-1280), anch'essi costituiti da una sola aula dalle proporzioni molto
allungate e conclusa ad oriente da una absidiola cilindrica. I confronti
stilistici effettuati consentono, inoltre, d'ipotizzare che l'attuale edificio
conservi l'immagine, benché in gran parte rifatta, dell'impianto originario: se
così fosse, il primo S. Forzorio sarebbe senza dubbio opera di maestranze
locali che, avendo pochi mezzi a disposizione, si servirono per la sua
costruzione del materiale di spoglio trovato in situ o nelle vicinanze,
adottando i più semplici tra i modi architettonici visti in altri edifici
religiosi.Nonconosco
documenti a sostegno di quanto qui si propone in base a considerazioni
stilistiche: le origini della chiesetta restano, perciò, ancora avvolte dal
mistero come il nome del Santo titolare. S. Forzorio, infatti, non figura in
nessun martirologio ne menologio ed è quindi probabile sia la deformazione
popolaresca di un altro nome su cui, essendosi da secoli perso il ricordo, si
possono fare solo ipotesi. In un documento del 1633 viene menzionato come «S.
Fortis»; nel 1720 il parroco di S. Elena gli affianca, come spiegazione, il
nome di«Bertorio»; nel 1761, infine, il Vescovo di Cagliari lo ritiene una deformazione
di Lussorio. Quest'ultima interpretazione condivisa da alcuni studiosi
contemporanei, mi sembra, però, piuttosto improbabile poiché la voce
sardo-campidanese di Lussorio, cioè «Lixori», è troppo lontana da quella che
traduce Forzorio che è, come si è già detto, «Frazzori». È, invece, verosimile
che derivi da Forzore, nome ancora in uso in Toscana.Il misterioso
Santo non viene più festeggiato da circa 50 anni e soltanto gli anziani
ricordano, con una punta di rimpianto, la festa che si svolgeva nella sua
chiesetta circondata dal verde di una campagna fertile e ben coltivata: era «sa
festa de is bagadius e de is isposus storraus».Vorrei, per
concludere, ricordare i più importanti tra i pochi arredi ancora custoditi
nell'edificio: il popolaresco simulacro ligneo del Santo, una campana ed
un'acquasantiera. Le ultime due recano incisa la data «1843».
Nell'acquasantiera compare, inoltre, la seguente iscrizione: «In honorem
Sanctii Phorsori M. Dominicus Mandis fecit».
Note
bibliografiche "Quartu S. Elena Arte religiosa dal Medioevo al Novecento"
di IDA FARCI